Tra le immagini prodotte dalla fantasia mitopoietica nessuna, più di quella dello zombi, ha toccato il fondo dell’abiezione.
Niente è più miserabile degli zombi, che nemmeno possono dirsi creature poiché vagano nella terra di nessuno che divide i morti dai vivi. Massa tumorale in illimitato accrescimento, annunciano al mondo che è venuto il tempo della sua fine.
Generatisi a Haiti, nella prima Black Republic della storia, grazie a uno strano incrocio tra spurie tradizioni africane e modernizzazione indotta dal colonialismo nordamericano, adottati da Hollywood e subito divenuti eroi del cinema di genere, gli zombi, come i loro successori americani, i living dead, ossessionano l’immaginario contemporaneo.
Dal cinema ai videogiochi alle serie televisive, sono le vittime designate di un collettivo gioco al massacro nel quale ogni violenza è, al contempo, autorizzata, doverosa e sostanzialmente inutile, perché i morti-viventi l’avranno, alla fine, sempre vinta. La filosofia non li può ignorare perché sono il rovescio speculare del Dasein, vale a dire del protagonista indiscusso del pensiero novecentesco: non sono per-la-morte, non hanno mondo, non sono progetto, non sono storici.
Insomma non esistono, semplicemente insistono avanzando stupidamente nel deserto del reale.
Collana Filosofia al presente
pp. 95
ISBN 978-88-99299-00-2
euro 8,50